di Marcello Panzarella
Contrariamente al vituperio sulla bocca degli avversari del Ponte sullo Stretto, un ponte non è mai una bestemmia, come non è una bestemmia affermare che migliora il paesaggio. A volte, addirittura, lo crea. Il Golden Gate Bridge o il Brooklyn Bridge, entrambi ponti sospesi, sono divenuti delle icone, anche cinematografiche. In paesaggi molto diversi tra loro, i ponti si sono talmente compenetrati col contesto da creare con questo una sorta di simbiosi, dotata di tutti i caratteri della riconoscibilità e della memorabilità: ponti che sono divenuti dei veri e propri “unicum”, ed elementi ormai indispensabili, nel senso che il loro eventuale venir meno costituirebbe una privazione e una ferita gravissima, non solo della funzione, ma anche dell’immaginario collettivo.
Neppure si tratta di eccezioni. Ogni ponte, piccolo o grande, assume un nome, costituendosi come personaggio: il Ponte Vecchio, il Ponte di Rialto, il Ponte dei Sospiri, il Pont du Gard, il Ponte Carlo, il Pont du Millau, il London Bridge, gli svariati Ponti del Diavolo, e poi il Ponte di Mostar o Stari Most, e ancora il Ponte di Bassano, e – nei versi di Friedrich Hölderlin – il ponte di Heidelberg, e così via, quasi senza fine.
I ponti sono sempre occasione di orgoglio per chi li costruisce e per chi li possiede e usa: appartengono alle identità locali, e a volte le creano e le configurano. Un ponte non è mai una bestemmia, ma una espressione e una garanzia di concordia tra le due rive: una buona parola. I costruttori e custodi di ponti si chiamarono pontefici: una parola che è cresciuta, senza mai abbandonare il senso della propria origine. I ponti sono sempre una benedizione e una gloria.
Il ponte di Heidelberg
[…]
Come l’uccello del bosco s’invola sopra le cime,
Si lancia sul fiume che accanto ti corre splendente,
Agile e forte il ponte
Che di carri e d’uomini suona.
Come mandato da dèi, una volta m’avvinse un incanto
Sopra quel ponte, mentre l’attraversavo,
E di laggiù nello sfondo dei monti
Malioso m’appariva il lontano,
E il giovane fiume fuggiva, ilare e fosco, alla piana
Come il cuore che oppresso dalla sua troppa bellezza,
Per trapassare amando
Nei flutti del tempo si scaglia.
[…]
Poesia di Friedrich Hölderlin (1801).
Traduzione italiana di Giorgio Vigolo, in: Friedrich Hölderlin, Poesie, Einaudi, Torino 1958, p. 153.