“La terra brucia e anche una parte di noi va in fumo, la terra viene trascinata dalle acque delle alluvioni e anche una parte della nostra esistenza viene tragicamente trascinata altrove. Un legame inscindibile ci unisce con il territorio in cui viviamo al di là della consapevolezza che si ha rispetto a questa simbiosi. Conoscere, vivere, attraversare i luoghi sono gli strumenti che indirizzano l’umanità ad apprezzare i territori e a difenderli dagli eventi catastrofici, aumentati nel numero e nella portata a causa di cambiamenti climatici che avrebbero dei responsabili riconoscibili – se solo non ci nascondessimo dietro un dito o se non mettessimo la testa sotto la sabbia. Non esistono infatti catastrofi naturali. L’ industrializzazione accompagnata dal capitalismo in ogni sua forma, a cui non si è posto alcun limite, è la causa principale dello stravolgimento ambientale e delle esistenze; tanto i governi quanto ‘il mercato’ aggrediscono gli ambiti della cura intesa come benessere degli umani, dei sistemi ecologici e della convivenza sulla terra”.
E’ quanto si legge in una nota stampa del Comitato “No Ponte” che pone il problema dell’aggressione dei territori da parte dell’edilizia.
“Porre fine a questa aggressione è una missione che riguarda ciascuna e ciascuno ed è insieme collettiva, popolare, culturale, sociale, fattiva nel porre in essere pratiche preventive per salvaguardare il territorio – revocando ogni delega e agendo quando possibile in prima persona. E mai rinunciando al nostro senso critico. Puntare il dito accusatorio contro il piromane di turno e richiedere leggi sempre più repressive è una controproducente scorciatoia che rischia perdipiù di rimuovere le responsabilità politiche e sociali di ciò che accade, e di certo non ci aiuta a comprendere le vere cause del fenomeno. Sentiamo più urgente, invece, scavare un po’ più a fondo, creare momenti di confronto e di piazza per comprendere insieme quali sono i motivi che ogni anno portano al diffondersi di quella che conosciamo come “emergenza incendi”, e poi “emergenza frane”. Perché crediamo che tamponare, rallentare tutti i processi che le provocano sarebbe possibile forse cambiando e riorganizzando le produzioni agricole e zootecniche, rendendole sostenibili con l’utilizzo di tecniche più attente all’equilibrio complessivo, limitando l’uso animale ai fini alimentari. Ma anche risparmiando acqua, la sempre più esigua acqua, con un uso mirato e lottando affinché si riducano di molto le perdite della rete idrica e si ristrutturi il sistema di captazione e di distribuzione delle acque meteoriche. O aumentando la copertura arborea. E toccherà qui tanto auto-organizzarsi quanto sperimentare pratiche di conflitto che sappiano incidere sull’ordine del discorso pubblico e trasformare a nostro vantaggio i rapporti di forza con le istituzioni vigenti. Occorrerà battersi per evitare che delle terre attraversate dai fuochi si possa fare oggetto di speculazioni e per impedire che eventuali cambi di destinazione d’uso dei terreni trasformino i suoli in deserti mercificati per trarne profitti. (Chi ha detto infatti che dietro la figura mediatico-mitologica del piromane non si celino interessi economici di un certo rilievo? Tutto il business legato alle pale eoliche davvero non ha niente da insegnarci?)Occorrerebbe poi un controllo collettivo del territorio nei periodi a maggior rischio incendi, mettendo a fuoco la possibilità di dotarsi degli strumenti adeguati per eventualmente intervenire (cisterne d’acqua posizionate in punti strategici, per dirne uno) – dal basso in autonomia totale dalle istituzioni locali e nazionali, o determinando con esse un contenzioso aperto sull’uso dei fondi pubblici. In questa cornice, risulta evidente perché consideriamo irricevibile lo stanziamento di soli 61 milioni di euro per la prevenzione di eventi alluvionali a fronte di un ipotetico miliardo da parte della regione Sicilia e di 14 miliardi da parte dello Stato per opere inutili e dannose come il ponte sullo Stretto. Il ponte sarebbe (lo è già, per tutti gli effetti catastrofici che ha dispiegato sin qui il dispositivo politico-economico che lo sorregge) il cavallo di troia di un sistema che si erge come simbolo della separatezza tra i luoghi e gli esseri che vi ci abitano. Essere consapevoli delle infinite interconnessioni tra la nostra singolarità e tutto ciò che è comune ci aiuterà a comprendere come agire nell’immediato e come proseguire – consapevoli di essere testimoni, come abitanti dello Stretto, di una natura estremamente variegata, nella quale l’elemento montano e marino si fondono in una combinazione paesaggistica irripetibile anche se più volte sfregiata, e determinati a diventarne i consapevoli custodi.