di Marcello Panzarella
Anche se si è ormai compiuto qualche importante passo in avanti, di natura legislativa, la prospettiva della realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina resta ancora molto incerta, legata com’è agli imprevisti politici, economici, geopolitici. Ma, ammettendo che l’iter riavviato in questi ultimi mesi possa procedere senza troppi intoppi ostativi, e condurre in alcuni anni ad annodare stabilmente la Sicilia al Continente, proviamo a immaginarne qualche ragionevole conseguenza, relativa agli assetti territoriali ed economici a venire. Oltre alla configurazione germinale di una metropoli dello Stretto, cui ho già accennato in questa pagina, una conseguenza che si potrà ragionevolmente verificare è il rafforzamento della dorsale insediativa ionica della Sicilia, tesa tra Messina, Catania col comprensorio etneo, e il porto di Augusta (una realtà su cui occorre fortemente scommettere), fino a comprendere l’estesa area afferente a Siracusa. L’antica metropoli della Sicilia sembra anzi il terminale più ovvio e naturale di una crescita economica possibile.
E la Sicilia Occidentale? E Palermo? Basterebbe la velocizzazione della ferrovia Catania-Palermo a salvarla dall’attuale declino? Basterebbe la ristrutturazione della A19? Penso di no. Gli effetti positivi delle nuove infrastrutturazioni potrebbero (dovrebbero) investire la piana di Catania, vasto territorio disponibile per le più diversificate iniziative di crescita, ma, più oltre, i caotici territori della Sicania, le loro desolazioni sublimi, opporrebbero le resistenze e le difficoltà intrinseche ai territori più accidentati. Dunque, per Palermo le prospettive sono molto più complicate. Alla città, geograficamente così decentrata, neppure basterebbe che la dorsale ferroviaria tirrenica fosse tutta velocizzata, pur rimanendo del tutto indispensabile il completamento del raddoppio in AC tra Patti e Castelbuono (88 km). Inoltre, nonostante i notevoli rinnovamenti in atto, il porto di Palermo, 55 volte meno esteso di quello di Rotterdam, non può sperare in una crescita significativa dal punto di vista mercantile, soffocato com’è dalla città, e dunque privo di spazi adeguati alla logistica e di qualunque collegamento ferroviario per il traffico merci. Neppure il porto di Termini Imerese, che pure può e deve in parte supplire alle deficienze di quello di Palermo, potrà mai avere il respiro e l’ampiezza del porto di Augusta, né godere dei favori di quella condizione topografica e della relativa collocazione geografica, che fronteggia Suez. Infine, il prossimo ripristino della linea ferroviaria tra Palermo e Trapani, interrotta da circa dieci anni, non avrà mai, per più decenni, delle caratteristiche di velocità ragionevolmente comparabili con quelle della modernizzazione in atto nella rete ferroviaria siciliana. Detto en passant, dobbiamo anzi sperare che ad alcune forze retrive, che addirittura si vanno opponendo alla sua elettrificazione, non sia data facoltà di incidere. E allora? Il futuro della Sicilia Occidentale si gioca nell’antico Val di Mazara. Quello la cui costa fiancheggia per circa ottocento chilometri la rotta marittima che veicola un quarto del traffico merci mondiale. Per profittarne, la punteggiatura delle sue portualità va rafforzata, insieme con un minimo di logistica collegata, e va ripristinata la rete ferroviaria costiera, con caratteristiche di Alta Capacità, fino a chiudere l’anello ferroviario dell’Isola. Per la tratta da Castelvetrano a Porto Empedocle è disponibile uno studio di fattibilità redatto un paio d’anni fa dall’ing. Roberto Di Maria. Più oltre non mi risulta neppure uno studio, anche se spero di sbagliarmi. Ma va considerato un ultimo fatto, non di dettaglio. Nel 2017, a firma dell’ing. Flavio Marangon, fu redatto per conto dell’ENI uno studio di fattibilità per un porto off-shore, da collocare nelle acque al largo di Gela. La batimetria dei fondali di tutta la costa meridionale della Sicilia è infatti quasi dovunque tale da obbligare a questo genere di soluzione, l’unica che localmente consente l’attracco delle superportacontainers. Credo però che l’individuazione di Gela, che ha comunque il favore di una notevole disponibilità di aree a fungere da retroporto, debba essere riconsiderata. E ciò non tanto per la sua relativa vicinanza ad Augusta (in Europa coesistono porti immensi come quelli di Rotterdam e Antwerp, collocati a poche decine di chilometri di distanza), quanto per l’opportunità di avvantaggiare una posizione di fronte a Tunisi, tra Castelvetrano e Mazara, allo scopo di integrare i traffici nordafricani con quelli della Sicilia e del nostro continente, e anzi di incentivarli e incrementarli. Che è poi il senso geopolitico più genuino del Ponte sullo Stretto.
Per concludere, resta che Palermo, se vorrà mantenere un ruolo e sopravvivere, dovrà urgentemente interrogarsi sul proprio destino, e scegliere cosa vorrà fare da grande. Il suo vero guaio è che ancora non l’ha capito.