di Pietro Busetta

Il confronto sulla realizzabilità dell’opera, Messina Bridge, continua ad essere un argomento sul quale ci si scontra quotidianamente. Ma mentre si capisce che sulla opportunità dell’opera ci possa essere un confronto di idee, che ancora si discuta sulla realizzabilità tecnica ci fa capire come non ci sia più nulla di certo.

Infatti il progetto del ponte sullo stretto di Messina era già stato cantierato, per cui pensare che si sia passati ad una fase così operativa senza che ci fosse un progetto realizzabile o sul quale potessero esserci ancora dei dubbi mettono il non esperto in una condizione di non avere più certezze.

Se non bastano validazioni di esperti internazionali, che hanno fatto questo lavoro da sempre, aziende che costruiscono in tutto il mondo ponti, a dare certezze all’uomo della strada sulla realizzabilità tecnica di un’opera, anche se di grande innovazione e con una campata unica mai tentata prima, allora navighiamo sulle sabbie mobili. Ma al di là di questo aspetto la domanda che si pone l’uomo della strada e se ci sia un momento in cui si può ritenere un’opera, da un punto di vista progettuale, già definita e non più in discussione.

Se oggi si sta lavorando per arrivare alla posa della prima pietra, tra un anno, nel giugno del 2024, il pubblico ampio deve avere certezza che il progetto è realizzabile al di là del fatto che lo stretto sia una zona sismica, al di là dei venti che lo tempestano, e sarebbe opera meritoria da parte sia del Ministero delle Infrastrutture che del gruppo dei progettisti di non consentire più fake news, così come bene ha fatto il professore ingegnere Claudio Borrì, e denunciare chiunque metta in discussione la validità scientifica di un progetto definito.

Non bisogna dimenticare peraltro che chiunque faccia quest’operazione accusa di cialtroneria i professori che hanno lavorato al progetto. Tale riflessione viene spontanea in considerazione che ieri alla Camera, con 101 voti a favore e 179 contrari l’aula della Camera ha bocciato le pregiudiziali dell’opposizione al decreto legge che contiene le disposizioni per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria.

Si discuteva del progetto considerato, con una serie di interventi che potrebbero mettere in dubbio la realizzabilità tecnica dell’opera. Ma un’altra considerazione viene spontanea: che ci sia un momento per discutere in un Paese che un’opera vada realizzata oppure no è logico.

Ma che la discussione continui all’infinito come si sta verificando per la Tav e adesso per lo stretto è un approccio che evidentemente non può essere accettato. Ci dovrà essere un momento in cui non è più consentito ritornare sulle decisioni già prese? O tutto può essere messo in discussione fino alla fine dei lavori, magari consentendo che si costruiscano i due piloni e non si passi poi all’impalcato che li colleghi? L’esperienza di Mario Monti è di quelle che mettono in discussione la credibilità di un Paese.

Consentire che un’opera già appaltata, con un inizio dei lavori già effettuati, vinta con una gara internazionale da alcune società con curriculum di tutto rispetto, possa essere cancellata con un tratto di penna, senza che nessuno risponda degli eventuali danni, non solo ma anche economici, conseguenti all’annullamento di un contratto legittimamente concluso è per un Paese dotato di un sistema di leggi occidentali e moderno inconcepibile. 

Il risveglio dei “no ponte”, pronti a mobilitarsi e lo spazio concesso ad essi dai Media ci fa capire come ogni opera pubblica in Italia, in particolare una così imponente, debba superare problematiche incredibili.

Peraltro spesso i movimenti ambientalisti sono finanziati da società statali per contestare quello che il Governo vuole portare avanti, in una contraddizione in termini evidente. Probabilmente ci dovrebbe essere un momento nel quale la discussione dovrebbe essere chiusa là dove le maggioranze al Governo decidono di andare avanti su progetti infrastrutturali.

Mentre è concepibile che sulle leggi che riguardano i diritti civili e sociali si possa discutere indefinitamente, perché concernono i principi fondamentali sui quali si fonda una società, laddove si tratti di opere pubbliche, anche se non condivise da alcune parti, una volta decise devono avere la possibilità di essere portate a conclusione qualunque sia la maggioranza di Governo succeda.

Anche questo aspetto va considerato in maniera attenta perché il Paese possa passare dalla fase della contestazione continua a quella di una buona capacità decisionale per arrivare alla conclusione delle opere immaginate. Il rischio contrario è quello di tessere una tela di Penelope che non consenta mai un prodotto finito.   Alcune norme limitative dovrebbero indirizzare anche l’azione degli organi giudiziari amministrativi per evitare che accadano situazioni estremamente costose e incomprensibili al cittadino comune.

Un esempio per tutti la sopraelevata che doveva attraversare Palermo per collegare l’area ovest a quella est, non interferendo con il traffico cittadino, che fu appaltata con tutti i piloni già realizzati e che poi un Tar della Sardegna bloccò lasciando l’aeroporto di Punta Raisi distante dalla parte occidentale della sua area di pertinenza e l’attraversamento di Palermo assolutamente impossibile, e tante risorse buttate al vento.

Oggi che siamo di fronte ad un’opera così importante, alcune condizioni di partenza vanno probabilmente chiarite per evitare che si ripetano incidenti di percorso che possano mettere in discussioni la completa realizzabilità.

Pietro Busetta, 15 aprile 2023